Proseguo, con questa nuova raccolta, la mia serie di “Appunti di diritto ebraico”. Niente più di appunti, come si può ben vedere, riflessioni esternate in alcuni convegni e incontri seminariali a cui ho avuto l’onore, negli ultimi tempi, di essere invitato. Ho deliberatamente scelto di conservare i testi nell’edizione originale (comprensiva anche di saluti, ringraziamenti, ecc.), senza apportare cambiamenti e approfondimenti, proprio per dare meglio l’idea che si tratta di riflessioni sparse, non riviste e non armonizzate in un discorso unitario.
Avendo dato, come titolo alla precedente silloge, una semplice cifra numerica (613, il numero convenzionale dei precetti mosaici), mi è piaciuto continuare lungo questa strada e, tra le tante soluzioni possibili, la scelta è naturalmente caduta – in ragione dei contenuti del volumetto – sul sette, che, com’è noto, oltre a essere il numero dei giorni della creazione, della settimana e dei bracci della “menorah”, è anche quello dei precetti c.d. “noachidi”, valevoli non solo per il popolo ebraico, ma per l’intero genere umano, essendo stati dati da Dio ad Adamo e poi a Noè, progenitori dell’umanità tutta: sei negativi (il divieto di blasfemia, di idolatria, di omicidio, di furto, di adulterio e incesto e di cibarsi di membra di animali ancora viventi) e uno positivo (l’obbligo di istituire tribunali atti a giudicare secondo giustizia).
Si parla, infatti, in queste pagine, di questioni – quali il luogo della giustizia, il rapporto tra l’uomo e la natura, la condizione degli animali non umani, il controllo della ragione, la conoscenza storiografica, il fine vita – che vanno ben al di là dei pur ampi VI Appunti di diritto ebraico confini dell’ebraismo, per allargarsi negli spazi infiniti del diritto noachide. Ho sempre pensato che nel rapporto tra ebraismo e noachismo si celi l’essenza più profonda della spiritualità ebraica, sempre tesa tra particolarismo e universalismo, in quanto volta all’assolvimento di una missione di testimonianza universale, alla realizzazione della vocazione “sacerdotale” del popolo ebraico e dell’utopia messianica di un Israele “luce delle genti”. Ed è proprio nelle inquietudini dell’età moderna, nella quale ogni certezza identitaria pare scossa e messa in discussione, che il noachismo (antico quanto l’uomo, risalendo, appunto, ad Adamo e Noè) pare esplicare con particolare forza la sua portata morale e giuridica: un concetto che iniziai ad assimilare nel lontano 1987, ascoltando il testo della relazione che pronunciò alla Hebrew University of Jerusalem, in occasione del Congresso internazionale su “A Member of Another Religion in Religious Law”, il grande Elio Toaff (Livorno 1915-Roma 2015), con la quale volle rendere omaggio a un suo altrettanto grande concittadino e predecessore: “Il noachismo nel pensiero di Elia Benamozegh” (Livorno 1825-Livorno 1900).