Biblioteche chiuse, sui giornali la protesta: a quale scopo?

Dal 3 novembre sono di nuovo chiuse le biblioteche italiane. L'ultimo DPCM ha sollevato una protesta che è stata raccolta da due dei maggiori quotidiani italiani, il Corriere della Sera (clicca qui per leggere l'articolo) e Il fatto quotidiano (clicca qui). Il primo, il quotidiano italiano più venduto, pubblica la lettera di una studentessa di filosofia al terzo anno all'Università San Raffaele di Milano, la quale si fa portavoce di tutti quegli utenti della biblioteca pubblica che fanno di un servizio necessità, poiché non tutti i tipi di studenti, sottolinea, possono permettersi di comprare i libri di testo (chi ha frequentato l'università lo sa bene). E se la chiusura vuol dire andare avanti “nonostante tutto”, per loro vuol dire non andare avanti affatto.

Dal canto suo la proposta è quella di digitalizzare tutto il materiale già presente sugli scaffali, oppure prenotare l'appuntamento per il ritiro del testo ordinato online da casa, servizio, quello della prenotazione online, che per altro è già predisposto. Checché se ne dica, ad ogni modo, molte biblioteche italiane si sono già attivate con il servizio di consegna a domicilio.

Se alla prima ondata epidemica, in primavera, i bibliotecari erano stati presi alla sprovvista, lasciando a casa i dipendenti, che sono lavoratori pubblici, tiene a evidenziare l'autrice dell'articolo,  pagati con le tasche dei contribuenti, in questo secondo round molti coordinatori territoriali hanno preso la palla al balzo e hanno proposto piani di lavoro alternativi, da fare 'a porte chiuse', per far lavorare la biblioteca e i suoi addetti, senza lasciarli a casa (per inciso: non tutti i lavoratori delle biblioteche sono dipendenti pubblici, molti sono assunti per mezzo delle cooperative, che pagano a ore).

Non basta certo il lavoro a porte chiuse, dato che la biblioteca non è un organismo isolato, ma anzi vive del servizio offerto alla comunità, che è l'accesso gratuito al bene culturale, dunque bisogna trovare anche una soluzione al prestito dei libri a all'accesso negato alle stanze di pubblica lettura a tutti quei cittadini che fanno della biblioteca la loro seconda casa, come racconta la giornalista de Il fatto quotidiano, nel secondo degli articoli di cui parlavamo.

Non solo, bisogna contare il fatto che molti lettori deboli hanno preso l'occasione del lockdown nella primavera scorsa per aumentare le loro abitudini di lettura. Tutto questo significa che bisogna iniziare a considerare il bene librario come un bene primario, equiparabile quantomeno alla cura dei capelli o all'articolo sportivo. Se ci sono biblioteche al passo coi tempi, che hanno provveduto da sole a creare le condizioni per consegnare i libri a domicilio, non c'è stato tuttavia un piano delineato dall'alto per far fronte a un bisogno che sembra, ora più che mai, dato la quantità di proteste che si sono sollevate anche a fronte delle chiusure di altri beni culturali, come le mostre e i teatri, di prima necessità.


Pubblicato in CONOSCENZE il 19/11/2020